La superficie levigata, lucide sfumature di viola dalle numerose tonalità… le melanzane evocano luminose giornate d’estate, atmosfere mediterranee, sentori di basilico ed erbe aromatiche, finestre spalancate sul mare.
Tipiche della bella stagione, sprigionano il loro lato migliore nei mesi estivi, con una versatilità che le rende raffinate protagoniste di
ricette dolci e salate, benché la coltivazione in serra le abbia rese disponibili sulle nostre tavole tutto l’anno. Noi, lo sapete, abbiamo
molte buone ragioni per mangiare solo frutta e verdura di stagione! Nascosta dietro un nome curioso si cela una storia millenaria, che conduce lontanissimo dalle sponde del Mediterraneo, nel cuore del continente asiatico.
Veleno e delizia
Gli studiosi ci dicono che
i primi ad utilizzare le melanzane in cucina, oltre 4000 anni fa, furono i popoli dell’India, dove la pianta cresceva spontanea e perenne. Si usava consumarle in salamoia e con spezie piccanti per attenuarne il sapore amaro, ma soprattutto per ridurne la tossicità.
È difficile immaginare che una tale prelibatezza possa nascondere insidie per la nostra salute, eppure è così. Come altre specie appartenenti alla famiglia delle Solanacee, tra le quali le patate
in primis, le melanzane celano negli strati superficiali un pericoloso stratagemma della natura: la presenza di
solanina, un alcaloide che le piante utilizzano per difendersi da parassiti e insetti e che risulta tossico, anche in piccole quantità, per il nostro organismo, a meno che non sia neutralizzato da una forte salatura o dalla cottura.
In Europa abbiamo impiegato secoli per imparare questo trucco e scoprire le golose potenzialità di questo ortaggio. I popoli dell’Asia sono stati molto più precoci, con una diffusione delle melanzane in tutto il sudest asiatico già in epoca molto antica e con la comparsa di pratiche di coltivazione sistematica in Cina nel 1° secolo a.C. Più tardi la melanzana ha preso la via dell’Occidente per raggiungere la Persia e attraverso il mondo islamico approdare in Europa all’incirca intorno all’8° secolo d.C., con la conquista araba dell’
Andalusia.
Estranea alla civiltà greco-romana, fa dunque la sua comparsa nel Mediterraneo solo alle soglie del Medioevo. Il suo nome non reca eco delle lingue classiche – benché alcuni studiosi ne abbiano ricostruita una fittizia origine dal latino
malum insanum per la tossicità da cruda o dal greco
mélas, nero, per il colore. Vi risuona, invece, la
lingua araba.
Infatti, l’originario termine arabo
al badinjian, “uovo del diavolo”, si è ammantato in Italia di mille varianti dialettali, con l’aggiunta del suffisso melo- o petro- a seconda della regione: dal fiorentino antico
petonciana/petronciano al piemontese
malansana, al milanese
meresgian o all’abruzzese
buligname, fino al napoletano
mulignana e al siciliano
milinciana, tutti ancora popolarissimi a fianco del nazionale melanzana.
Quasi una mela di Biancaneve… Al suo ingresso in Occidente, la melanzana è circondata da un’aura di frutto velenoso che inizia ad incrinarsi solo nel Quattrocento, con l’elaborazione delle prime ricette dedicate.
Il Quattrocentesco Novellino, toscano, narra: “Maestro Taddeo, leggendo a’ suoi scolari in medicina, trovò che, chi continuo mangiasse nove dì di petronciani (le melanzane della lingua antica!), che diverrebbe matto; e provavalo secondo fisica”.
Considerata dunque causa di pazzia, epilessia, isteria, sbalzi d’umore, e perfino di scurimento della pelle del viso, questo ortaggio fu a lungo, agli occhi degli Europei, considerato portatore di qualità malsane e nocivo al benessere fisico e mentale, un
cibo “stregato” che solo alcuni popoli, come Arabi ed Ebrei convertiti, riuscivano a trattare senza pesanti conseguenze per la salute. Nel 1513 l’agronomo Gabriel Alonso de Herrera giunse addirittura ad affermare che esso fu introdotto in Europa allo scopo precipuo di avvelenare i Cristiani. E un eco lontano di queste idee si ritrova ancora in tempi a noi vicinissimi, nel 1985, ne
L’amore ai tempi del colera, dove Gabriel Garcia Marquez scrive della protagonista: “Detestava le melanzane fin da bambina, prima ancora di averle assaggiate…le sembrava che avessero un colore di veleno”.
A smorzare questa fama terribile, si fa strada per converso nei secoli la nomea di cibo afrodisiaco: nella
Clizia di Machiavelli la melanzana è “pomo d’amore” e in Occitano ha un nome molto esplicito:
vietase, ovvero
pene d’asino.
Come il bacio di un principe ad una dama dormiente, la cottura ne muta fama e destino, trasformandola in un alimento portentoso per il nostro benessere, con ottimi valori nutrizionali.
Se l’alto contenuto di fibre, proprio di molta frutta e verdura, fa sì che il suo consumo aiuti la regolazione della glicemia e il ridotto assorbimento degli zuccheri, l’abbondanza di acqua e la presenza di potassio, ferro e calcio le conferiscono proprietà depurative, sfiammanti, rimineralizzanti e ricostituenti, anche a livello osseo.
Il gusto amarognolo nasconde la presenza di antiossidanti, come la
nasunina, che agiscono sul colesterolo cattivo e l’attività dei radicali liberi e contribuiscono alla prevenzione di moltissimi disturbi, anche cardiaci, e a lenire lo stress ossidativo cui è sottoposta quotidianamente la pelle del viso. D’altronde, la tradizione popolare vuole che la polpa schiacciata con una forchetta e applicata sulla pelle in purezza o con yogurt per almeno venti minuti doni compattezza e nutrimento immediati. Noi questo intruglio non l’abbiamo provato…
Forme, colori e sapori per tutti i gusti
Oltre alle sue proprietà benefiche, la melanzana ha un pregio inestimabile: è un sommo piacere per occhi e palato, con la sua varietà di forme e sfumature di colore.
Il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ne ha censiti
oltre 60 tipi nel nostro paese, che vanno dai più comuni, viola scuro, di sapore deciso e piccante e forma allungata, come la Violetta lunga palermitana e la napoletana, o dal profilo tondo e costolato come la piccola nana precoce, a melanzane rotonde, di colore e gusto più delicati, come la Tonda Nera, la lucentissima Black Beauty, la melanzana “comune” di Firenze, a polpa molto compatta, la spagnola di Murcia, o la Prosperosa, particolarmente resistente all’ossidazione, fino alle eleganti bianche, dolcissime e con pochi semi, di origine anatolica, come la Rotonda Bianca, dalla bellissima buccia a sfumature rosa.
Curiosissima per forma, storia e colore è la melanzana rossa di Rotonda, di origine africana, prodotto DOP del Parco Nazionale del Pollino e della provincia di Potenza, caratterizzata da piccole dimensioni, forma tondeggiante e un colore così vivido da sembrare un pomodoro.
A qualsiasi varietà appartengano, al momento dell’utilizzo in cucina le melanzane sono spesso sottoposte ad un trattamento preliminare: tagliate a fette e sistemate in uno scolapasta, vengono cosparse con sale grosso e tenute schiacciate per almeno due ore, così da perdere i liquidi in eccesso e parte del caratteristico gusto amaro.
Grazie alla loro versatilità, sono entrate a pieno titolo nella tradizione culinaria di molti paesi e nella rosa delle ricette nazionali più rappresentative a livello mondiale. Basti pensare al
moussakà greco, alle
berenjenas con queso spagnole, a
ratatouille o cotolette tipiche della Provenza e, tra i più celebri piatti del nostro paese, la parmigiana di melanzane, la caponata o la pasta alla norma.
Si prestano a infinite preparazioni, salate e dolci, in versione fritta, grigliata, al vapore, sott’olio, al forno, arrostita, perfino caramellata con la frutta o coperta con crema al cacao nella squisita ricetta delle melanzane al cioccolato, tipica della costiera amalfitana.
Prelibate al gusto, stupende alla vista e al tatto, deliziose al naso, duttili nell’assecondare fantasia e creatività dello chef, parte integrante dei più bei ricordi d’estate…dimenticarne la scorza velenosa e amarne tutta la ricca bontà non prende che il tempo del primo morso!