Lo
Champagne, quell’ambrosia spesso associata a lusso ed eccessi, immancabile nelle grandi occasioni e sinonimo di eleganza e ricchezza, ma anche leggerezza… Ma com’è nato il
mito intorno a questo vino? Domanda lecita, dal momento che, e forse in pochi lo sanno, questo
spumante oggi tanto apprezzato e agognato, all’epoca della sua invenzione fu spesso disprezzato (perfino dal suo “inventore”) e considerato addirittura una bevanda del diavolo. Se siete curiosi di sapere il perché, e scoprire qualcosa in più su uno dei miei frizzanti preferiti, vi auguro una buona lettura!
Carta d’identità Lo Champagne è un vino spumante che prende il nome dall’omonima regione francese in cui viene tradizionalmente prodotto, oggi chiamata
Grande Est, situata nella parte settentrionale del Paese. Nel 1927 in Francia venne emanata una legge che definiva i confini entro i quali lo spumante poteva essere chiamato Champagne e i vigneti che potevano essere utilizzati per la sua produzione. Inoltre, nel 1936 fu istituita la
AOC per questo vino (
Appellation d’Origine Contrôlée), che corrisponde alla nostra DOC.
Età Non si può affermare con certezza quando la viticoltura giunse nella Champagne, tuttavia è certo che prosperava nel I secolo d.C., quando la regione faceva parte della Gallia Romana. Nonostante ciò, per poter parlare di vino Champagne come noi lo conosciamo, dobbiamo aspettare la seconda metà del
‘600, quando il monaco benedettino
Pierre Pèrignon rivoluzionò le tecniche di produzione di quelle lande. Beh, non fu proprio lui a ottenere il primo spumante della Francia: il merito è infatti dei monaci benedettini della Linguadoca che ne producevano già durante il secolo precedente. Nemmeno l’invenzione di una bottiglia in grado di reggere la pressione del gas fu di Pèrignon: essa fu perfezionata dei vetrai inglesi. E allora, è lecito chiedersi, perché questo monaco viene oggi ricordato e considerato il padre dello Champagne? Innanzitutto perché capì che nel clima freddo della regione, miscelare uve di vigneti differenti permetteva di ottenere un prodotto migliore. Proprio per le rigide temperature i vini della Champagne hanno una naturale tendenza a spumantizzare. In effetti, Pierre Pèrignon puntava a ottenere un vino fermo, e l’effervescenza rappresentava un difetto a suo avviso. Nonostante ciò, intorno al 1690, decise di imbottigliare il primo vino spumante Champagne.
Inizialmente questo nuovo prodotto non fu accolto con grande entusiasmo. Alcuni puritani lo considerarono addirittura una bevanda del diavolo e il commerciante Bertin du Rocheret affermò “
Effervescenza… appartiene giustamente alla birra, al cioccolato e alla panna montana”. Ma con il tempo, le cose cambiarono. Durante la prima metà del ‘700 il re francese Luigi XV scoprì una grande passione per i vini della Champagne: questa regale predilezione ebbe un effetto molto positivo sulla loro fama, e la decisione del re di favorirne la commercializzazione aiutò molto sia la produzione sia la crescita dei prezzi. Ecco quindi che nel 1743 venne fondata la
Moët & Chandon, ancora oggi una delle aziende più grandi e conosciute per la produzione di Champagne eccellente.
Come si ottiene?Innanzitutto, per produrre lo Champagne vengono utilizzate solamente tre tipologie di uve:
1-
Pinot noir: si tratta di uva a bacca nera che copre circa il 37% della superficie vitata della regione e viene coltivato soprattutto sui pendii della Montagna di Reims;
2-
Pinot Meunier: anch’esso copre il 37% del territorio vitivinicolo. Si coltiva prevalentemente nella valle della Marna e si caratterizza per una maturazione più tardiva rispetto al Pinot noir;
3-
Chardonnay: è un vitigno a bacca bianca coltivato per la maggior parte nella
Côte des Blancs, una zona ad alta vocazione vitivinicola della regione Champagne. È possibile produrre il famoso vino spumante anche a partire solo da quest’uva: in tal caso, otterremo uno Champagne
Blanc de blancs.
Per la produzione dello Champagne viene utilizzato il
metodo classico, detto anche “
champenoise”.
Come prima cosa, le diverse uve, dopo la raccolta, subiscono la
pigiatura e poi la
chiarifica (
débourbage) per eliminare le impurità presenti nel mosto; successivamente si avvia una prima
fermentazione del succo.
Se si utilizzano le uve di una sola annata, il prodotto finale riporterà in etichetta la dicitura “
Millesimato”, al contrario, se vengono miscelati vini di diverse annate, e questo arriva il più sovente, ecco che si crea una
cuvée, alla quale si aggiungerà poi il cosiddetto
liqueur de tirage, ossia una soluzione a base di zucchero di canna, vino e lievito.
Si entra poi nella fase detta
prise de mousse (letteralmente “presa di spuma”), la quale prevede una seconda fermentazione in bottiglia (posta orizzontalmente), durante la quale i lieviti trasformano gli zuccheri in alcool e anidride carbonica. Il vino si lascia così maturare almeno un anno per gli champagne Millesimati e non meno di tre per gli altri. Con il tempo gli zuccheri si esauriscono e si formano così sedimenti di lieviti morti, utilissimi a creare il profilo sensoriale del prodotto finito. Ovviamente, i residui vanno poi eliminati. Questo avviene con l’operazione detta
remuage, una tecnica oggi eseguita meccanicamente dalla maggior parte dei produttori, e che viene tradizionalmente effettuata a mano. Essa prevede l’inclinazione verticale delle bottiglie per concentrare i sedimenti sul collo. Al momento di espellere queste fecce, ciò avviene attraverso il
dégorgement (o sboccatura), processo con il quale la parte terminale della bottiglie viene congelata, così da poter rimuovere il tappo e con esso il cubetto di residui di lievito. Poiché in questa fase una parte del vino fuoriesce, è necessario, prima della tappatura e del confezionamento, aggiungere una soluzione composta da zucchero di canna e champagne fermo: il cosiddetto
liqueur d’expedition. A seconda della quantità aggiunta di tale prodotto, avremo diverse tipologie di champagne: iniziando dall’
Extra brut, che prevede la colmatura solo con il vino, si passa al
Brut (1% di liqueur),
Extra sec (1-3%),
Demi sec (3-5%) e si finisce con il
Doux (8-15%), che caratterizza un vino spiccatamente dolce.
Occhi, naso, boccaSvelate l’origine, la storia e la tecnica di produzione, non ci resta altro che stappare il nostro
Champagne e guardarlo con occhi diversi. Avete letto bene, perché la nostra degustazione inizierà proprio dalla
vista! Ogni prodotto è diverso, e attraverso il colore potremmo già capire qualcosa su quello che abbiamo davanti. Innanzitutto, lo Champagne dovrà sempre essere
limpido e brillante e avere una delle tante tonalità di giallo: un prodotto torbido segnala una bevanda difettosa e un colore bruno indica che forse abbiamo aspettato troppo a stapparlo. Pensate che poi, i veri esperti addirittura sapranno, analizzando la tonalità di
giallo, capire in che modo è stato prodotto lo spumante: se lo champagne possiede pieni riflessi dorati, allora è maturato in legno, mentre se siamo di fronte a un giallo paglierino pieno, allora vuol dire che è presente un’elevata percentuale di Pinot nero. Insomma, è come se il bicchiere di Champagne fosse una sfera di cristallo attraverso cui il mago, ossia il massimo esperto, svela i suoi segreti!
Fondamentali sono poi le sensazioni
olfattive: in un prodotto giovane spiccheranno i sentori fruttati dati dallo Chardonnay, mentre uno Champagne invecchiato in legno avrà più spesso un aroma legnoso se è giovane; tostato se maturo. Ed ecco che ora possiamo finalmente sorseggiare il nostro spumante, apprezzando le sue note inziali
pulite, fresche e fruttate, le sue bollicine e infine il suo
retrogusto; perché ricordatevelo sempre: un buon Champagne lascia sempre in bocca un piacevole sapore.