Rossa come un peperone garbatamente piccante, un grossolano impasto di carne e spezie dal sapore unico. È il più premiato salame italiano e saperlo realizzare non è per tutti, anche quando sei un maestro può non esserci il lieto fine. Volete conoscere uno degli insaccati più premiati, di maggior pregio e gusto, e sconosciuto ai più? Continuate la lettura…
Cos’è la ventricina C’è una fascia di territorio tra
Abruzzo e
Molise, che si estende all’interno delle due regioni tra l’Alto Vastese e il Trigno, in cui vivono uomini che hanno saputo trasformare la carne suina in qualcosa di portentoso. Lavorando le parti nobili del maiale assieme a percentuali variabili di grasso, aggiungendo peperone secco tritato e altre spezie, ottengono una pasta da insaccare e far stagionare finché non diventa pronta per essere chiamata col suo degno nome:
ventricina.
Il termine rimanda al prodotto utilizzato per l’insaccamento: le viscere del maiale. Tradizionalmente si prediligono lo stomaco e la vescica, che danno al prodotto finito la caratteristica forma ovoidale, ma a volte si ricorre anche all’uso di altri budelli senza che ciò intacchi il risultato finale e la vocazione a prodotto tipico locale. Già, perché la ventricina è inserita nei registri del
PAT, la lista di prodotti agroalimentari italiani che, per le loro caratteristiche uniche di lavorazione, è necessario salvaguardare dall’industrializzazione affinché rimangano autentici. Ed è anche un
presidio Slow Food in ben tre tipologie registrate, corrispondenti ad altrettante varietà profondamente legate al loro territorio di produzione, ognuna con il proprio
rigoroso disciplinare.
Un tempo ampiamente prodotto come un salume per occasioni importanti o per omaggiare le personalità di rilievo (che in una piccola comunità potevano essere il sindaco, il medico e il curato), col passare degli anni non è riuscito a reggere l’avvento dei sistemi di produzione e commercializzazione moderni, rischiando la scomparsa. Crearlo a regola d’arte non è affatto semplice e riuscirci senza conservanti, nitriti e nitrati lo è ancora di più, perché se nell’insaccatura entra aria o c’è un mutamento nella temperatura, l’impasto di carne si guasta: pare che due ventricine su tre debbano essere buttate. Questo non aiuta il norcino che non produce quella ventricina affettata che troviamo su vasta scala nei supermercati. In compenso, il norcino è il valoroso protagonista della salvaguardia del prodotto originale e artigianale, con un’etichetta pulita e carico di tutta la storia – e dell’incredibile sapore – che le sue terre natìe sanno raccontare.
Come si fa quella buona L’
autentica ventricina – come indicano i disciplinari – è fatta con i
tagli magri, la coscia, il lombo e la spalla, del maiale che vengono tagliati a punta di coltello, dunque non macinati come negli altri salami, e uniti a pezzi di grasso, anch’essi tagliati a mano in cubetti più piccoli. Dopo una notte di riposo, a questo composto si aggiunge del peperone dolce secco tritato finemente, della
varietà paisanella, che conferisce al prodotto il tipico colore infuocato e il suo sentore inconfondibile. Si aggiungono poi semi, fiori di finocchietto e null’altro che sale e pepe.
L’impasto ottenuto è insaccato con cura in budella naturali, preferibilmente lo stomaco, e sistemate per la stagionatura. Si tratta di un insaccato fermentato e non affumicato, che viene stagionato a circa 6°C per i primi 4-5 giorni, per poi proseguire ad una temperatura più alta, circa 13°C, per non meno dei cento giorni successivi. Ad un certo punto della stagionatura, sulle ventricine viene steso uno strato di strutto con lo scopo di conservarle meglio, evitare che vengano aggredite dalle muffe, proteggerle dagli sbalzi di temperatura e tenere lontani gli insetti, inoltre questa pratica limita il tipico calo ponderale dei salumi in maturazione.
Sempre in linea con una produzione artigianale senza additivi, la lavorazione differisce per maniera in base alle scelte del norcino e alla natura della ventricina che di seguito vi raccontiamo, evidenziando quegli aspetti che più le differenziano.
Ventricina del Vastese Questo è il salame che ha collezionato più premi nei campionati italiani di categoria ed è in attesa di ricevere la DOP. Autoctona dell’Alto Vastese, originariamente si faceva solo con maiali neri. Viene usato il peperone rosso di Altino, la prima stagionatura avviene in una stanza riscaldata da un camino. Dopo l’asciugatura la ventricina finisce la maturazione al fresco e al terzo mese viene steso lo strato di strutto. È pronta per la consumazione solo dopo sette o otto mesi e la lunga stagionatura dona alla pasta i caratteristici spazi che dividono i pezzi di grasso da quelli di carne.
È quella più spiccatamente piccante tra le versioni dolci e si presenta con un vivissimo colore rosso, quasi aranciate. Assaggiandola spesso si possono avvertire delle note agrumate, regalate dalla consuetudine di alcuni artigiani di immergere le vesciche per l’insacco in acqua aromatizzata all’arancia e al limone.
Ventricina di Montenero di Bisaccia Nativa della Valle del Trigno, è prodotta in tutta la provincia di Campobasso. Per la sua produzione si utilizzano solo maiali allevati con cereali e legumi secchi, dei quali si sfruttano solo le parti della coscia e i pezzi di grasso duro. Ne esiste una versione dolce ed una piccante, che vanta l’aggiunta di peperoncino. È la varietà che richiede la maturazione più lunga e la stagionatura dura almeno un anno e mezzo.
Ventricina teramana Non è registrata tra i presidi e differisce sensibilmente dalle altre per gusto e consistenza. Mentre la regola della ventricina prevede un 80% circa di carne magra, qui questa percentuale è minore. È presente con quasi pari quantità della parte grassa, l’impasto è tritato fine e vi si aggiungono, oltre ai sapori canonici, anche aglio, rosmarino e buccia d’arancia. La stagionatura è breve, solo poche settimane e il prodotto è pronto per la consumazione. La consistenza è molto spalmabile e a volte si rinuncia al budello per conservarla in vasetti.
Ventricina olevanese Fuori dagli Abruzzi, questa ventricina è prodotta in un paese del Lazio, ad Olevano, fin dai primi anni dell’Ottocento. Rispetto alle varianti abruzzesi ha un marcato sapore agrumato, dato dall’aggiunta di scorze di melango, un’arancia autoctona. Le vere peculiarità della produzione locale sono la macerazione dell’impasto in vino, rigorosamente Cesanese di Olevano Romano Doc, e l’insaccatura in
bondiana, cioè budella di vitello.
Affettiamo?
L’ideale è gustare la ventricina così com’è, tagliata a fette spesse con il coltello, magari accompagnandola con un bel rosso di carattere. Tuttavia è ottimo per farcire i panini e non è infrequente che nelle zone d’origine sia usato per farne un ragù, tagliato in quadratoni e aggiunto al sugo di pomodoro o usato solo per condire la pasta.