Tra Amalfi e Positano,mmiez’e sciure
nce steva nu convent’e clausura.
Madre Clotilde, suora cuciniera
pregava d’a matina fin’a sera;
ma quanno propio lle veneva‘a voglia
priparava doie strat’e pasta sfoglia.
Uno’o metteva ncoppa,e l’ato a sotta,
e po’ lle mbuttunava c’a ricotta,
cu ll’ove, c’a vaniglia e ch’e scurzette.
Eh, tutta chesta robba nce mettette!
Stu dolce era na’ cosa favolosa:
o mettetteno nomme santarosa,
e’o vennettene a tutte’e cuntadine
ca zappavan’a terra llà vicine…
Ho fatto di Napoli la mia città da anni. E l’adoro. Anche perché solo a Napoli si trovano insegne come quella della pasticceria Attanasio, che recita : “
Napule tre cose tene belle: 'o mare, 'o Vesuvio e 'e sfugliatelle”.
Già, la sfogliatella! Riccia o frolla, non si può lasciare Napoli senza averla assaggiata! Indiscutibilmente una città dalle mille esperienze sensoriali, tra le quali “
a sfugliatell” è sempre pronta a regalare emozioni intense a napoletani e visitatori. Il suo profumo intenso riempie spesso le strade ed i vicoli della città. Calda vicino al caffè la mattina, come spuntino del pomeriggio o come dessert della sera, è sempre un buon momento per gustarla! Divenuta così famosa nel corso dei secoli, tanto da essere considerata, insieme al babà, uno dei simboli dolci di Napoli. Non c’è bar, pasticceria o laboratorio che non ne produca o venda ogni giorno, benché tradizionalmente sarebbe associata al 31 gennaio, festa di San Ciro.
Le originiLa leggenda narra che nel 1600, in Costiera Amalfitana, tra Furore e Conca dei Marini, precisamente nel Convento di Santa Rosa, una delle monache di clausura (Madre Clotilde) si accorse di alcuni avanzi di semola bagnata nel latte e per non buttarla decise di sperimentare. Miscelandola con ricotta, frutta secca e liquore al limone ottenne un ripieno, che racchiuse tra due parti di pasta sfoglia a ricordare la forma di un cappuccio di monaco e che fece cuocere nel forno ben caldo. Il dolce, apprezzato sia dalle suore che da tutti i paesani, prese il nome di Santarosa in onore della santa patrona del convento. Non sappiamo quanto ci sia di vero in questa storia, ma è pur vero che nella costiera Amalfitana vi è una lunga tradizione di pasticceria legata a conventi e ordini religiosi, come nel caso della
melanzane con la cioccolata, del limoncello oppure del “nocillo”, tutti preparati da monache o frati che poi li commercializzavano.
Si racconta anche che il dolce giunse a Napoli ben 200 anni dopo! Pare infatti che nel 1818, un oste di nome Pasquale Pintauro, venne a conoscenza di questa delizia e assaggiandola ne rimase estasiato. Decise, però, di rivisitarne la ricetta: eliminò la crema e le amarene dal ripieno e assottigliò la sfoglia; fu così che nacque la sfogliatella napoletana. Pintauro trasformò quella che era la sua osteria, nella centralissima via Toledo, in un laboratorio dolciario che è sempre lì, con la vecchia insegna originale ma con una nuova gestione, pronta a deliziare i passanti con le sue sfogliatelle fragranti.
Grazie alla loro originalità e bontà, le sfogliatelle napoletane sono state riconosciute come Prodotto Agroalimentare Tradizionale.
La differenza tra riccia e frolla
La vera differenza che si riscontra nei due tipi di sfogliatella è nella pasta che avvolge il ripieno: la riccia è decisamente più impegnativa e complessa nella lavorazione, ha una caratteristica forma triangolare ed è composta di sfoglie croccanti sovrapposte a strati fittissimi e ripiena di una profumatissima e deliziosa crema a base di semola. La frolla, invece, è più semplice da realizzare. Contiene lo stesso gustosissimo ripieno, esaltato però da una pasta morbida simile alla frolla e di forma rotondeggiante. I puristi sostengono che, essendo la frolla la sfogliatella originale, non si può scegliere altrimenti.
Dalla ricetta originale, poi, sono nate numerose varianti come ad esempio le cosiddette “code di aragosta” sfogliatelle ricce dalla forma molto più grande e allungata, ripiene di panna, crema chantilly, o crema spalmabile al cioccolato. Anche l’Abruzzo e la Puglia vantano le loro sfogliatelle. Come si dice a Teramo, la “
sfujatèlle” è più morbida e con gli strati di sfoglia più sottili rispetto a quella partenopea ed anche nel ripieno si differenzia: marmellata d’uva, cacao in polvere, mandorle tritate, zucchero e cannella. I pugliesi, a Canosa, le sfogliatelle le chiamano Rose, forse ricordando le origini amalfitane e il convento di Santa Rosa. Anche queste sono molto diverse da quelle napoletane: mandorle, confettura di mele cotogne, gocce di cioccolato fondente, uvetta e vino bianco.
La sfogliatella fatta in casaSe leggendo tutte queste curiosità sulla sfogliatella napoletana vi è venuta “l’acquolina in bocca” e non siete proprio nei pressi di Napoli per togliervi la voglia presso la storica pasticceria Pintauro in via Toledo, o da Attanasio nei pressi della Stazione Centrale, potreste provare a farla in casa: frolla o riccia? Decidetelo voi!
Attenzione però: la lavorazione delle sfogliatelle napoletane di per sé è semplice, ma è piuttosto lunga perché si compone di diverse fasi che prevedono dei tempi di riposo da rispettare per un buon prodotto finale. Che si tratti di riccia o frolla, infatti, l’impasto deve riposare una giornata intera in frigorifero.