Quanto ci piace la carbonara! E siccome ci piace anche la storia, oggi vi raccontiamo anche qualche curiosità. Le sue origini sono nascoste da un velo di mistero e circolano numerose ipotesi e leggende sulla sua nascita – che non mancheremo di condividere con voi. Ma partiamo dai fatti. Un metodo affidabile per ricostruire la storia di un piatto è quello di spulciare tra una delle fonti più attendibili della tradizione culinaria: i ricettari. Così abbiamo fatto, ed è proprio attraverso un viaggio nelle pagine di vecchie riviste e
antichi ricettari che oggi vogliamo raccontarvi la storia di un piatto amato in Italia ma anche all’estero. Nel 1925
Ada Boni iniziò a pubblicare un ricettario che è oramai un classico della gastronomia italiana:
Il Talismano della felicità. All’interno di questo libro – a noi sacro – la ricetta della carbonara non c’è. Eppure Ada Boni era romana, e la carbonara (lo sanno tutti) è un piatto tipicamente romano e laziale.
Lo scrittore e giornalista Livio Janattoni scrive che durante gli anni Trenta non si trova traccia di questo piatto, e che la prima menzione è del
1944 – quando Roma era già stata liberata dalle truppe americane. E infatti in molti suggeriscono che proprio allora nacque la nostra cara carbonara, grazie alla presenza delle truppe americane: del resto, per la ricetta si può usare la pancetta affumicata che non è tipica del Lazio, dove le ricette tradizionali come la gricia o la amatriciana impongono l’uso del guanciale. Insomma, per dirla con Marco Guarnaschelli Gotti e la sua
Grande Enciclopedia della Gastronomia, alla fine della guerra tra le poche risorse c’erano “le razioni militari, distribuite dalle truppe alleate; di queste facevano parte uova (in polvere) e bacon (pancetta affumicata), che qualche genio ignoto avrebbe avuto l’idea di mescolare condendo la pasta".
Del resto, la prima ricetta della carbonara appare nel 1952 e non in Italia, bensì all’interno di una guida dei ristoranti di un distretto di Chicago. L’autrice della guida –
Patricia Bronté – all’interno della recensione dedicata al ristorante Armando’s, riporta una ricetta piuttosto precisa del piatto servito in quel ristorante senza lasciare alcun dubbio: è proprio la carbonara che conosciamo! In Italia, una ricetta lontana da quella che conosciamo oggi perché contiene aglio e – suggeriamo ai puristi di non leggere quanto segue – groviera, appare nella rivista “
La cucina italiana” dell’agosto 1954. L’anno successivo la carbonara fa il suo primo ingresso in un ricettario italiano: “La signora in cucina” di Felix Dessì, e finalmente troviamo una versione simile a quella odierna.
La consacrazione a ricetta nazionale avviene con la pubblicazione del piatto nel ricettario di Luigi Carnacina “
La grande cucina” del
1960.
Ma torniamo un attimo agli anni Quaranta del secolo scorso, perché c’è un’altra ipotesi sull’origine della carbonara che ci piace molto in quanto parla della nostra terra… l’Abruzzo! Questa teoria ha il merito di spiegarne il nome. Il piatto sarebbe in relazione con i
carbonai (detti carbonari in romanesco) di origine appenninica e abruzzese, i quali durante le giornate passate a sorvegliare le carbonaie portavano con sé ingredienti a lunga conservazione (es. uova e guanciale affumicato) della loro quotidianità. Del resto, le ricette “
cacio e ova” sono diffusissime nelle tradizioni abruzzesi. Una leggenda racconta che i soldati alleati assaggiarono la tipica pasta “cacio e ova” abruzzese e se ne innamorano a cavallo tra il 1943 e il 1944 quando rimasero appostati per oltre otto mesi in numeri importanti sulla linea Gustav che tagliava in due l’Abruzzo. La tradizione abruzzese sarebbe quindi stata adattata ai gusti dei soldati e alle loro derrate utilizzando, appunto, la pancetta affumicata statunitense. Uova e bacon, sapori che ricordavano “casa” ai soldati, gli ingredienti che caratterizzavano la tipica colazione americana.
Un'ultima teoria, formulata in verità solo di recente su alcune riviste di cucina e ripresa da un noto programma televisivo, mette in relazione la carbonara con la cucina napoletana e con la tecnica tradizionale, presente in molte ricette, di aggiungere le uova sbattute arricchite con formaggio e pepe a fine cottura.
La tecnica è menzionata già nel ricettario di inizio 1800 di Ippolito Cavalcanti, ed è tradizionalmente associata a piatto che ricorda la “carbonara vegetariana”: pasta e piselli, pasta con zucchine, benché nel napoletano lo sbattuto si aggiunge anche a piatti a base di carne come lo spezzatino di carne con piselli o la trippa alla "pasticciola".
Seppure intrigante, questa ipotesi non spiega né il nome né il fatto che la ricetta è tipicamente romana e non napoletana. Qualunque siano le sue origini, esse non impedirono ai romani, una volta scoperta la ricetta, di far propria la carbonara che è stata letteralmente adotta a tal punto che oggi nessuno oserebbe mettere in dubbio la paternità geografica del piatto, il cui nome pare che compaia per la primissima volta in un film negli anni Cinquanta. In “Cameriera bella presenza offresi…” del 1951 durante un insolito colloquio di lavoro con la cameriera Maria, interpretata da Elsa Merlini, il datore di lavoro chiede: “Scusi un momento, senta un po’, ma lei sa fare gli spaghetti alla carbonara?”. A Roma il guanciale sostituisce spesso la pancetta affumicata, e nel tempo la ricetta classica che tutti conosciamo si fonda su
quattro semplici ingredienti: pecorino, guanciale (o pancetta), uova e pepe, solitamente a condire spaghetti o rigatoni.
La grande popolarità della ricetta – anche all’estero – ha fatto nascere numerosissime varianti. Non ci sono solo le interessanti rivisitazioni da parte di chef più o meno famosi. C’è anche l’uso di ingredienti locali: il pecorino ad esempio non si trova facilmente (oppure è molto caro) in alcuni paesi stranieri. Le uova sono troppo spesso sostituite con la panna: per moda (si usava, ebbene sì, anche in Italia durante gli anni Ottanta) per gusti locali (la panna è ad esempio un ingrediente molto comune nella cucina francese) o per paure legate all’uso delle uova crude. Sebbene i puristi non concordino, non è raro trovare varianti insaporite grazie all’uso di vino bianco, aglio o cipolla, prezzemolo, peperoncino e altro… a fantasia dello chef!