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La Cantina Orsi

Una storia di sapori unici
30.03.2020
12 min.
E oggi, a grande richiesta, pubblichiamo un altro post dello scrittore Dario Ruscetta dal suo libro,
MoBo’s Stories: Guida di Viaggio nell’Ombelico Gastronomico di Modena e Bologna”, dopo aver pubblicato il bellissimo brano sulla trattoria Amerigo 1934. Eccolo qui:

All’inizio della Valsamoggia, iniziando a salire la strada per i colli, c’è una casa enorme ed antica che ora è sede di un Bed&Breakfast dal profumo di vino e mortadella.
Siamo in località Pragatto e questa villa storica è l’inizio di una Storia… perpetua.
É proprio qui, infatti, che una volta viveva l’intera, e numerosissima, famiglia Orsi coltivando vaste proprietà terriere, le stesse terre che poi venivano ereditate in quote diverse dai vari parenti, lasciando così questa casa senza un podere annesso.
L’attuale B&B si trovava così a diventare una casa urbana, abbandonando di fatto l’attività agricola che veniva suddivisa su numerose braccia indipendenti tra loro.
Tra i possessori di questa tenuta c’era Federico Orsi che però, in realtà, viveva in Brasile con la famiglia; non era certo una struttura abbandonata, ma aveva decisamente perso la funzione di un tempo.
Anche con il ritorno di Federico in patria non cambiavano le cose: tra l’Università e il proficuo lavoro si trovava sempre in viaggio per tutta Europa e tornava a Pragatto solo di tanto in tanto, seppur mantenendo le amicizie storiche.



La carriera avanzava a grandi falcate e il merito gli veniva riconosciuto: una proposta di lavoro dalle cifre e possibilità impressionanti, non in Italia, ma ne valeva assolutamente la pena.
Si apprestava quindi a salutare gli amici di una vita al Bar del paese, quando uno di loro gli diceva <<Beh senti un po’, ti è arrivata la voce sul podere San Vito? Lo hanno messo in vendita>>.
Federico conosceva molto bene quella terra e l’inaspettata notizia gli riportava alla mente suo nonno e gli zii, grandissimi appassionati di vini, che negli anni ’50 viaggiavano in lungo e in largo, in Italia e all’estero, organizzando vere e proprie spedizioni alla ricerca di nuove prelibatezze nate dall’uva fermentata; non poteva resistere, il richiamo era troppo forte e nemmeno la cera nelle orecchie avrebbe attenuato il canto delle sirene, così, in quel 2005 di cambiamenti, Federico rifiutava la prestigiosa offerta di lavoro e comprava il podere San Vito, dandosi tempo cinque anni per capire se poteva farcela, oppure no.
Certo la situazione non era delle migliori e lo scetticismo regnava sovrano.
Federico, che aveva ereditato la passione degli zii ed era diventato sommelier, sapeva bene che il mondo del vino era in una situazione piuttosto delicata e che i colli bolognesi erano una realtà isolata dal resto del pianeta vitivinicolo: non esisteva un’azienda leader in grado di trainare quel mercato e la zona collinare, dalle basse rese ed alte spese, non permetteva di ragionare su un’economia di scala, che seppur non desiderata poteva far comodo in un primo periodo.

Come fare, dunque, per emergere e dare un valore al proprio tentativo? Beh…per esempio recuperando ciò che sembrava perso: le Memorie, in questo caso sotto forma di fatti storici.
Federico trovava alcuni documenti risalenti al 1050 in cui si leggeva che i frati dell’Abbazia di Monteveglio portarono il loro vino, nato proprio su quei colli, ai frati di Nonantola che poi lo regalarono a Matilde di Canossa: gli balzava quindi all’occhio che già 1000 anni prima, su quella stella collina, si vinificavano naturalmente le uve.
Ma perché non ci fu poi un’evoluzione?
Colpa del potenziale inespresso per incapacità, o le cause erano da cercarsi nell’omologazione dei vini stessi?



Federico ne usciva convinto dal suo ragionamento: la standardizzazione del prodotto finale aveva portato quelle terre a non differenziarsi dal resto della massa, tutto dipendeva solo ed esclusivamente dal marketing applicato.
Così il nostro Sommelier, fino a quel momento fedele alle regole apprese, decideva di ribellarsi ed uscire dal quel sistema che parlava solo della mano dell’enologo, rompeva quindi le leggi del mercato e si apprestava a valorizzare la propria terra, lasciandole il merito del prodotto finale.

Iniziava così un percorso che lo portava a togliere tutti quegli elementi di disturbo che gli avrebbero certamente garantito una certa qualità finale, ma non gli avrebbero permesso di comprendere a pieno quella terra, di capire cosa c’era sotto ai suoi piedi.
Federico procedeva quindi attraverso un percorso biodinamico atto a far rivivere la vera Natura di quel territorio, non per fini commerciali ma per far sì che i vigneti si legassero fortemente al loro territorio.
Certo non aveva intrapreso una strada esente da commenti più o meno delicati.
Infatti la rinuncia al concime suonava stupida per molti, ma non per lui che aveva ben chiare le idee in testa: voleva lavorare la terra per riaverla viva, non desiderava nutrirla ma piuttosto farle ricordare come ci si nutriva autonomamente; la collina doveva tornare a respirare, permettendo così alla vigna di scendere in profondità e succhiare quel prelibato nettare che la Natura gli metteva a disposizione.

Anche dal punto di vista imprenditoriale compiva un forte azzardo.
Le vigne erano state impiantate appena dieci anni prima con Cabernet-Sauvignon, Syrah e altre varietà tra cui tantissimo Pignoletto; questo però non era ciò che voleva Federico il cui desiderio rimaneva far rivivere la Storia di un territorio e non sfruttare lo stesso per coltivare ciò che il mercato chiedeva.
Nel corso dei primi anni si apprestava quindi a cambiare quasi tutti i vitigni tranne quelli di Pignoletto, vitigno tipico dei colli bolognesi, piantando varietà antiche e territoriali come l’Alionza, il Negretto, l’Albana e un po’ di SanGiovese.

Iniziava così la vinificazione naturale delle uve e si arriva fino ad oggi, periodo in cui Federico Orsi può dire di essere riuscito a salvare e valorizzare un intero territorio.



La cantina, ottenuta attraverso l’evoluzione di quattordici anni di scelte, appare meravigliosamente curiosa: i fermentatori sono tutti in cemento, che possiede una grande inerzia termica quindi assorbe o rilascia calore molto lentamente, oppure di legno, che grazie alla sua porosità permette la massima respirazione al vino.
Tra questi due metodi ne è stato inserito un altro che porta il prodotto finale ad un livello di naturalezza superiore, quasi inarrivabile: la fermentazione in Anfore Georgiane.
Immaginate il vino che fermenta insieme alle bucce delle sue uve, frutti ottenuti da un vigneto che ha succhiato e trasmesso tutta l’essenza della Natura ad ogni acino, immerso completamente nella sua terra di origine che lo proteggerà fino a trasformazione completata: potreste pensare a qualcosa di più idilliaco?
Dentro queste anfore avviene quindi la vinificazione di uve bianche con metodo Ancestrale, seguendo il ciclo naturale del clima grazie, scusate il gioco di parole, alla terracotta interrata che permette di avere la miglior inerzia termica possibile e un’eccellente respirazione del liquido.

Alla Cantina Orsi i vini non vengono mai chiarificati e tutto viene prodotto vigna per vigna, noterete infatti diversi fermentatori in cemento riportanti la definizione “Pignoletto” abbinata al nome della zona di collina specifica; già perché ogni vitigno assorbe un’essenza differente a seconda della tipologia di terreno e Federico vuole che ogni lavorazione possa offrire le sue proprie caratteristiche.
Potrete quindi godervi le piccole e grandi differenze che ogni terra offre alle uve, ritrovandovi a far passeggiare il vostro palato e la vostra anima lungo quei filari in continuo dondolio respiratorio.

Nemmeno a dirlo anche le fermentazioni sono solo e rigorosamente spontanee, per rimanere legati alla territorialità: non ha senso usare un lievito selezionato chissà dove e che offre uno spettro aromatico differente da quella zona.
Ogni singolo microrganismo contribuisce alla formazione degli aromi del singolo vino, come una grande Famiglia affiata in cui Federico fa da padre mantenendo il giusto equilibrio e assicurandosi che non prevalgano le pericolose ed egoistiche azioni dei singoli microbi, che potrebbero portare il vino anche ad acetificare.
Non esiste solo un imprenditore in questa cantina, ma un uomo che, con il sostegno dei suoi aiutanti, si prende cura di ogni singolo passaggio della filiera, come quando, una volta a settimana, assaggia il vino per controllare che la felce stia decantando nella maniera corretta, senza lasciare strani sapori al suo bambino.



Ma le vere perle del Vigneto Orsi sono le Botti Perpetue, enormi vasche piene di vino formato da una grossa percentuale di madre, che sarebbe la prima fermentazione ottenuta dal 2008 per il rosso e dal 2011 per il bianco, rinfrescata mensilmente con il prodotto dei diversi vitigni.
In questo modo si ottiene un vino con una certa freschezza (In 12 mesi viene rinfrescato circa il 50% della botte) ma anche dotato di una complessità importante dovuta proprio alla madre.

Queste Botti Perpetue sono uno strumento di Memoria formidabile poiché mantengono le tracce di ogni singola annata e anche tra 100 anni saranno comunque presenti alcune caratteristiche organolettiche della prima fermentazione.
Rappresentano la perfetta sintesi del terroir lungo le diverse annate, come un albero genealogico del vino di famiglia.
Un forziere di storie che raccontano l’Uva, di come è stata trattata, del clima che c’è stato, della lavorazione che l’ha trasformata.

Ma la magia non è finita qui, poiché se uscirete dal cancello principale, e vi farete guidare fino al campo più vicino, potrete trovare un meraviglioso orto, anche questo coltivato in modo biodinamico, con il terreno curato da alcuni animali tra cui il maiale di Mora Romagnola allo stato semi-brado.
É proprio su questo suino che vorrei soffermarmi ancora un attimo poiché rappresenta l’ennesima intuizione e sfida di Federico; infatti, una volta giunto al termine della sua vita, la Mora viene portata ad un piccolo produttore di Mortadella che segue la ricetta Orsi inclusiva di ogni singola parte del suino stesso.
Si ottiene così la prima Mortadella di Mora Romagnola che lui ama definire come una “provocazione”, infatti ha deciso di creare questo prodotto, di fronte agli amici mortadellai e senza nascondere nulla, per provare a dare una scossa al mercato e tentare di farlo evolvere verso una prelibatezza che non sarà certo classica, ma permette di valorizzare, ancora una volta, la terra e il prodotto agricolo utilizzando gli antichi sistemi naturali.

E chi sono io per tirarmi indietro dinnanzi a questa provocazione? Nessuno, per questo ho deciso di provocare a mia volta, portandomi a casa proprio la Mortadella e lasciando più vino per la vostra visita, poiché sono certo che non resisterete al richiamo che vi farà incontrare il ribelle Custode delle Memorie, in cima a quel colle che funge da perfetto Baluardo delle Città Sommerse.

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Il codice sconto associato è PALATES.


“MoBo’s Stories: Guida di Viaggio nell’Ombelico Gastronomico di Modena e Bologna” è un progetto sostenuto e patrocinato dal Comune di Modena

Tutti i diritti su testo e foto sono riservati e appartenenti a Lomadic Food Circus, marchio editoriale di “BRED di Dario Ruscetta”. É vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, senza il consenso dell’Autore.
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