Se come me avete avuto la fortuna di studiare nelle Marche e la dea bendata ha voluto omaggiarvi di una coinquilina ascolana, allora avrete avuto sicuramente la possibilità di assaggiare una delle prelibatezze più famose della zona: le olive all’ascolana.
Il viaggio culinario di oggi ci porta nelle Marche, più precisamente ad Ascoli o, come direbbero gli ascolani, in Ascoli. In questa città viene prodotto un piccolo e saporitissimo gioiello che grazie alla semplicità dei suoi ingredienti sapientemente lavorati, fa innamorare grandi e piccini.
La varietà dell’oliva ascolana
Le olive ascolane sono una specialità che ha ottenuto il marchio D.O.P. a novembre del 2005. Con l’espressione olive all’ascolana, però, non s’intende la varietà di oliva del Piceno – necessaria alla produzione dell’oliva all’ascolana – ma la ricetta che la vede protagonista e che è famosa in tutta Italia e oltre. Noi le abbiamo trovate anche a Tokyo!
L’oliva ascolana tenera del Piceno si distingue dalle altre per una polpa piena e un nocciolo più piccolo rispetto alla media, che si separa facilmente dal resto. L’ascolana è un’oliva di media grandezza, tenera, estremamente delicata nella coltivazione: cresce in terreni scoscesi, dei quali è meravigliosamente dotato il Piceno. La zona di produzione DOP si trova nella parte meridionale delle Marche e settentrionale dell’Abruzzo.
La loro raccolta inizia a settembre, quando il frutto è ancora verde, tondo, e perfetto per andare direttamente in salamoia. Sul territorio chiamano “olive da mensa” quelle destinate ad essere mangiate, per lo più nella nota ricetta che le vuole ripiene e fritte. La raccolta avviene per tutto il mese manualmente, senza mezzi meccanici; poi, verso fine settembre, l’oliva inizia a maturare troppo e ciò che è rimasto sugli alberi viene usato per produrre olio.
La storia della ricetta delle olive all’ascolana
Avere una coinquilina ascolana significava avere anche una nonna ascolana e, proprio grazie a questa parentela acquisita, la nostra casa da studentesse fuori sede era sempre piena di … olive all’ascolana.
Per preparare le sue olive, Nonna Giulia utilizzava la ricetta della tradizione, che solo le mani di una nonna sanno riprodurre. Ovviamente, prima di scrivere questo post l’abbiamo chiamata!
Ci ha invitato ad Ascoli per farle insieme e… come potevamo dire di no?
Ma andiamo con ordine, e torniamo un po’ indietro nel tempo per scoprire dove affondano le radici di questa prelibatezza. Se ne ha notizia già durante il XVI secolo, quando papa Sisto V riconosce la loro squisitezza in una lettera inviata agli Anziani di Ascoli. Si racconta che furono i cuochi a servizio delle famiglie nobili ascolane ad inventare il caratteristico ripieno delle olive. Pare che queste sfere d’estasi ripiene di carne nascano nelle case dove esistevano degli avanzi di carne i quali, macinati, diventavano i ripieni da mettere dentro le olive. Inoltre, era una ricetta che richiedeva tempo per la preparazione e non era tra le più economiche per l’impiego della carne. Alcuni storici suggeriscono che la ricetta si stabilizzò intorno al 1800, diventando quella che conosciamo oggi.
Sappiamo per certo che Garibaldi, dopo averle assaggiate e apprezzate il 25 gennaio del 1849 ad Ascoli, decise di coltivare alcune piantine di olivo a Caprera, così da poter riprodurre la ricetta delle olive ascolane da sé! Per lungo tempo il consumo delle olive ascolane è rimasto un privilegio, consumate a seconda della ricchezza della famiglia, ma sempre in occasioni speciali come Pasqua, Natale o durante i matrimoni.
Infatti, sebbene oggi vengano comunemente servite come antipasto, le olive all’ascolana erano in passato considerate un secondo piatto a sé oppure parte della frittura mista, un secondo comune nella zone dell’ascolano.
La produzione delle olive ascolane a livello industriale cominciò nel 1875 quando l’ingegnere ascolano Mariano Mazzocchi diede il via alla commercializzazione della prelibatezza marchigiana prodotta industrialmente.
Oggi il loro costo è irrisorio, e si trovano facilmente in tutta Italia: surgelate da friggere in casa, come stuzzichino o parte dell’aperitivo… Le migliori però, rimangono quelle fatte in casa.
E tra esse, quelle fatte e consumate nel Piceno.
Nonna Giulia ci ha mostrato come la loro preparazione sia lenta e laboriosa.
Ci ha raccontato che in passato il ripieno di carne veniva messo crudo (oggi viene per lo più cotto prima di essere utilizzato nel ripieno) e che l’oliva veniva poi fritta nello strutto. Per creare un’oliva perfetta ci voleva maestria, tanta pazienza e tanto amore. Venivano mangiate raramente. Forse perché le cose migliori vanno centellinate?
Consiglio di nonna Giulia: da mangiare insieme ai cremini, “adè la morte sua!”