“Di un bel colore rosso mattone a riflessi d’oro cupo,
il sapore strano, affumicato e ruvido della sua moderata dolcezza
corregge ed evita quella dolcezza vischiosa
e a volte nauseante di tanti passiti e “marsalati”.
C’é qualcosa di affascinante,
di profondamente rustico e montano, nel vino cotto:
o almeno in questo vino cotto”.
Mario Soldati
“Vino al vino” (1971)
Il Vino Cotto è una bevanda dalle origini antichissime, tipico delle Marche e dell’Abruzzo, in particolare delle province di Ascoli Piceno e del teramano. La sua produzione ancora oggi è legata alla tradizione contadina che segue la ricetta tramandata di generazione in generazione. Un tempo veniva consumato come normale vino da tavola, ora è preferito come
vino da dessert e spesso viene accompagnato a biscotti secchi, castagne o ciambelle. Viene anche utilizzato nella preparazione di dolci tradizionali (famosi sono i biscotti al vino cotto) ed in cucina per insaporire carni o impreziosire le marmellate. Attenzione, però, a non confonderlo con il vin brulé che è vino scaldato e aromatizzato! Il vino cotto ha una base di partenza completamente diversa: il mosto.
Foto di alison e dunn da FlickrTra storia, credenze popolari e tradizione
Stiamo parlando in effetti di un vino dal processo millenario, la cui origine viene da alcuni studiosi collocata addirittura nell’Oriente assiro-babilonese per passare alla Grecia antica dove viene scoperto dai romani che lo adottano per magnificare i banchetti dei generali e patrizi della
Roma Imperiale. Pare che sia qui che il protocollo di lavorazione del vino cotto sia stato perfezionato, arrivando fino ai giorni nostri.
Un tempo questa bevanda veniva impiegata quando si affrontavano i lavori più faticosi, come quello della mietitura, o per occasioni particolari come la nascita di un figlio, per il quale se ne metteva da parte una piccola botte da consumare non prima del raggiungimento della maggiore età o nel giorno delle
nozze. Ma il vino cotto rappresentava soprattutto un segno di convivialità ed ospitalità, una bevanda da tirar fuori nelle migliori occasioni! Insomma, non c’era contadino o mezzadro che un tempo non avesse la propria botte di vino cotto. Credenza popolare vuole poi che, conservato in botti di rovere, costituisse un principio medicamentoso: veniva usato spesso come rimedio nella cura di molti malanni quali raffreddore, tosse, dolori articolari e mal di gola; era inoltre considerato benefico per regolare la circolazione sanguigna e, frizionato sul corpo dei neonati, si diceva fosse capace di rinforzare i muscoli, in particolare quelli delle gambe. Era considerato anche un elisir di bellezza! Spalmato sulla pelle pare donasse maggiore lucentezza e che fosse ottimo anche per curare gli eritemi. Ancora oggi viene utilizzato come rimedio contro i malanni di stagione.
Tutte le credenze e le tradizioni che si accostano a questa bevanda, rivivono ancora oggi nel Festival del Vino cotto di Loro Piceno, una tra le più longeve e famose sagre delle Marche, dove i migliori produttori espongono ed offrono questo meraviglioso prodotto.
Una lavorazione che arriva da lontanoDefinito anche “
occhju de gallo” per via della tonalità ambrata con sfumature che tendono al nocciola, la sua produzione ha origini antichissime. Già Plinio il Vecchio, nel I sec. d.C. nella sua
Naturalis Historia, cita il vino cotto indicando il metodo di preparazione, rimasto quasi invariato nel corso dei secoli.
Effettuata la vendemmia, i grappoli vengono selezionati per la pigiatura e la pressatura, dalle quali si produce il mosto che viene messo in caldaie di rame e fatto bollire lentamente a fuoco diretto per circa 10-12 ore. Durante la cottura produce una schiuma che viene man mano eliminata. Il processo di riduzione (definito “interzatura”) va dal 20% al 50% del volume in funzione della composizione dell’uva impiegata e della tipologia del vino cotto che si intende produrre (secco o dolce). Quando va oltre e la riduzione supera la metà de volume originale, si entra nel mondo della sapa (sciroppo d’uva), un concentrato di mosto che si utilizza soprattutto nei condimenti e nella produzione dei dolci, ma questa è un’altra storia. L’alimentazione del fuoco deve essere sostenuta e costante affinché il preparato sia sottoposto ad ebollizione continua: una fase che permette di pastorizzare il mosto. Tutte le scorie, detriti e polveri vengono asportati con la “schiumarola”; quest’ultima è anche il primo attrezzo che si cede ai bambini che iniziano così l’apprendistato della cottura del mosto. Nel piceno durante la cottura, si usa spesso aggiungere una mela cotogna per ogni quintale di mosto per conferire una fragranza particolare al vino.
Completata la cottura il mosto decantato ma ancora caldo viene travasato dapprima in botti di legno (preferibilmente castagno o rovere), successivamente si lascia fermentare in botti di quercia antiche e viene lasciato invecchiare per un periodo non inferiore a cinque anni. Alcuni arrivano anche a 40 anni, e noi ne abbiamo assaggiati anche di 70! La conservazione del vino in queste botti ne affina il prezioso sapore donandogli un corpo vellutato, amabile e profumato. Il tempo è la componente principale che determina la qualità del vino cotto: ci vogliono molti anni perché la struttura del vino e le sue note aromatiche si stabilizzino compiutamente. Per molte primavere il vino rifermenta in botte e evolvono così le sue proprietà organolettiche.
Curiosità, usi e abbinamenti
Uno studio condotto dall’ Università di Teramo ha provato quel che il sapere contadino ha sempre affermato: il vino cotto è infatti ricco di elementi come polifenoli, tannini, vitamine e sali minerali con proprietà antiossidanti che aiutano a combattere l’invecchiamento ed aiutano a prevenire le malattie tumorali e cardiovascolari. La ricerca ha sottolineato che dalla caramellizzazione degli zuccheri, durante la fase di cottura del mosto, si ha un potere antiossidante due o tre volte superiore a quello del vino bianco!
Ma noi già lo sapevamo che “u vi cuott” fa bene! Oltre che per la preparazione e la degustazione di tanti dolci, viene usato anche per la lavatura dei budelli usati nella lavorazione tradizionale degli insaccati di maiale. In Abruzzo è il vino usato dai sacerdoti durante la funzione della comunione (anche perché, come del resto il vin santo, non ossida facilmente). E poi è un portento per la cura dei sintomi influenzali soprattutto se bevuto bello caldo insieme al miele.
Alcune cantine producono e vendono il vino cotto ma, soprattutto nei luoghi d’origine, resiste ancora l’antica idea che sia la bevanda della gratuità e tra i piccoli tesori familiari: il vino che si produce e conserva in famiglia per le occasioni, per le cure dei cari, per accogliere un ospite, da stappare per un evento importante o per farne il dono da portare ad una festa.
Foto di agriturismo_moretti da Instagram