“Se nelle opere umane si dovesse considerare solamente la necessità, cioè soltanto quello che strettamente abbisogni alla vita, molto sarebbe da togliere siccome superfluo, anzi dannoso: laonde rivolgendo il pensiero all’ argomento del presente libro, che per certo non risguarda il bisogno ma più presto l’eccesso.”
Quello che vi apprestate a leggere è un testo fondamentale nel panorama della letteratura gastronomica. In questa sede non ci soffermeremo sulla sua storia editoriale, fatta di molteplici edizioni e manoscritti che si sono susseguiti nel corso del tempo, accorpandosi fino a creare la versione definitiva, che abbiamo messo a vostra disposizione a fondo pagina. Tanto meno indugeremo sulla biografia dell’autore e sull’alone di mistero che avvolge la sua identità: sappiamo che diverse sono le personalità dell’antica Roma associate alla figura di Apicio.
Ciò che ci preme analizzare è l’importanza di questo tomo: nell’immaginario collettivo e come testimonianza storica.
L’impostazione del testo ricorda immediatamente un ricettario: a conti fatti, lo scritto di Apicio è antesignano di un filone letterario ancora oggi fortemente rilevante. Nella storia dell’umanità, alcune delle tappe fondamentali sono descritte dalla presa di coscienza della cucina come arte attraverso cui è possibile esaltarsi ed esaltare. E questo accade anche con Apicio. L’arte gastronomica consiste nel giocare con gli ingredienti, amalgamare i sapori, trovare le sinergie in grado di toccare le corde gustative-olfattive dei commensali e di essere motivo di orgoglio per il cuoco. Il tutto avviene ovviamente in una dimensione storica e sociale.
Nel contesto della Roma antica, il cibo poteva assurgere a elemento identitario e rappresentativo dell’agio e della nobiltà e dei ceti aristocratici. Il cibo e i banchetti erano sinonimo di opulenza, e la qualità delle materie prima era riflesso di potere.
Ma in Apicio troviamo anche la collettività: gli ingredienti a portata di mano di tutti che però permettono di ricavare sapori estasianti. Il De Re Coquinaria si svincola dalle catene delle convenzioni sociali antiche.
Lo scritto si divide in diverse categorie alimentari – dagli ortaggi alle carni, dai legumi al pesce – e per ciascuna di esse (da notare che la lunghezza è asimmetrica, per cui alcune sezioni sono più lunghe di altre) viene offerto un ventaglio di proposte.
Così il lettore indigente potrà ottimizzare i pochi ingredienti di cui è a disposizione, mentre il lettore più agiato potrà sperimentare accostamenti azzardati.
Il linguaggio utilizzato è diretto, schietto; Apicio descrive i piatti senza troppi fronzoli. A facilitare la comprensione c’è la suddivisione delle pagine in duplice colonna che offre la traduzione in italiano arcaico, la cui lettura viene coadiuvata da un ampio comparto di note a piè di pagina, per contestualizzare e fornire ulteriori informazioni, al fine di fugare ogni possibile dubbio.
Consigliamo la lettura sia a coloro che vogliono comprendere quali fossero le abitudini alimentari dei nostri antenati, sia a coloro che vogliono divertirsi, magari cimentandosi nella ricerca di eventuali punti di contatto e di divergenza tra la cucina contemporanea e quella antica.
Sicuramente Apicio, a distanza di secoli, sarà in grado di darvi spunti per piatti da proporre!
Buona lettura!
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