“Ma quanta invidia ti porto ricordandomi, che tu mangerai in Napoli quel pane di puccia bianco nel più eccellente grado, dirai questo è veramente il pane che gustano gli Agnoli in paradiso.”
Molto spesso le opere sono uno specchio del loro autore, e tra le loro pagine è possibile ripercorrere una storia nella storia. Non è un caso se la narrazione del libro che vi proponiamo questo mese ritrova la sua natura itinerante nella vita errabonda vissuta da Ortensio Lando. Difatti, la vita frenetica e movimentata dell’autore lo vide, ramingo, spostarsi di città in città, di regione in regione, di Stato in Stato. Non si è mai fermato in un posto tanto a lungo da definirla casa se non quando, dopo tanto peregrinare, giunse a Venezia.
Ortensio Lando trova così il suo
alter ego nel Viaggiatore, il protagonista dell’opera, proveniente dal “Regno de’ Sperduti”. Il suo peregrinare, dal meridione al settentrione d’Italia, racconta molto della vita dell’autore.
L’opera si presenta come un viaggio etno-gastronomico di tutto lo stivale. Immediatamente, però, si percepisce la connotazione macchiettistica e l’impronta parodistica che Lando conferisce al suo testo. Qui, l’autore si fa forte del suo bagaglio da umorista riversando nel testo l’alternanza di notizie veritiere e inventate, numerosi giochi di parole e allusioni culturali che, a noi lettori moderni, sovente sfuggono.
Dal punto di vista linguistico, la lettura è ostica, simile quanto lontana da quella odierna. Però, rimboccandosi le maniche e lasciandosi trasportare, le pagine si rivelano ricche di consigli per i turisti su cibo locale, monumenti e bellezze del posto, scherzi e molto altro.
La natura unica di quest’opera la rende particolare e affascinante: un punto di vista informale, sull’Italia e la cucina del cinquecento (di cui abbiamo già avuto modo di leggere tra le pagine de
"Dello Scalco"). Un’Italia dipinta come frammentata, e il cui unico
fil rouge identitario e unitario, è la cucina. È un’ottima lettura per ricordarsi che, ieri come oggi, nel nostro paese la cucina non è solo oggetto di compendi e ricettari, ma anche un pretesto per esprimere la propria narrativa e identità, tra esercizi di stile e goliardia.
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